Ho finito da poco di lavorare su due progetti di team coaching che sono iniziati per lo stesso motivo: in azienda è arrivato un nuovo capo che vuole portare dei cambiamenti, e questo processo incontra delle resistenze. Come poterle superare?
Nonostante tutte le differenze di azienda, persone, situazione e piani di azione conseguenti, c’è una cosa che i due progetti hanno avuto in comune: i 3 atteggiamenti che entrambi i capi hanno dovuto agire affinchè fossero accettati come agenti del cambiamento. Conoscere quali sono può essere utile in molte situazioni.
Il contesto
In un caso il nuovo capo veniva dall’esterno, nell’altro caso era stato promosso dall’interno. Entrambi mi hanno riportato la stessa cosa: “Ho nuove idee che voglio implementare, ma non sento la fiducia intorno a me” mi dicono “ e questo non mi aiuta nel realizzarle. Cosa possiamo fare?”
Mi piace molto una metafora che ho letto da un libro di Liane Davey sul cambiamento che ben si adatta a questa situazione: “Tu sei come l’organo del trapianto. Di sicuro sei quello di cui il tuo corpo ha bisogno per sopravvivere, ma il corpo stesso, con i suoi anticorpi, cercherà di rigettarti, sei un estraneo. Ecco perché sempre si deve applicare una attenta terapia antirigetto!”
Ed ecco la terapia antirigetto che in questo caso ha facilitato il processo di cambiamento: i tre atteggiamenti\comportamenti da tenere quando ti accorgi che sei TU il cambiamento a cui gli altri resistono.
Tre cose da fare quando sei TU il cambiamento a cui gli altri resistono!
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Non criticare, non condannare, non giudicare
Quello che tu vuoi modificare è stato fatto probabilmente da chi è li, con te, in questo momento. Inoltre non necessariamente le cose esistenti sono sempre state sbagliate, ma è che ora vanno evolute, come è normale che sia. Tu hai sicuramente un’intenzione positiva, ma loro potrebbero non sentirsi allo stesso tuo modo. La regola per chi arriva dopo e deve cambiare è “non criticare, non condannare, non giudicare”.
La regola per chi arriva dopo e deve cambiare è “non criticare, non condannare, non giudicare”.
Comunica la tua Visione, racconta cosa vuoi e spiega perché la vuoi, senza per forza denigrare il passato.
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Aiutali ad imparare
Forse i tuoi colleghi si rendono conto che devono imparare cose o modalità nuove e già si immaginano che questo richiederà uno sforzo e li rallenterà. Inoltre spesso ammettere che si deve “tornare a scuola” soprattutto a certi livelli, potrebbe essere difficile. La tua sfida è attenuare questa resistenza aiutando le persone a imparare, praticare, e padroneggiare le nuove abitudini e le competenze:
- Non fate finta che tu e i tuoi collaboratori siate già perfettamente preparati per affrontare la nuova situazione!
- Parlate apertamente di quali passi sono necessari fare per imparare ciò che serve ad affrontare il nuovo contesto
- Inserite i percorsi di apprendimento all’interno dei progetti di cambiamento che state discutendo
(Ho scoperto poi che questo atteggiamento, di nascondere le proprie necessità formative deriva da quella che si chiama ansia da apprendimento (HBR “The Anxiety of Learning”, by Edgar Schein). L’ansia da apprendimento è quella che arriva dalla difficoltà di padroneggiare nuove competenze e atteggiamenti mentali e dalla perdita delle routine che avevano contribuito ai successi passati. E questa ansia, esplicita o latente, crea resistenza).
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Sentiti parte del gruppo
Quando abbiamo iniziato il team coaching, in entrambi i casi ci si è posti una domanda: il capo partecipa al percorso di team coaching insieme al gruppo?
Sappiamo che i tuoi compagni di squadra ti considerano un “problema”, e a volte addirittura un estraneo che invade il loro spazio. Se però ti continui ad allontanare questa sensazione si allargherà ancora di più. E allora come far parte della squadra, minimizzando il rischio che la tua presenza intralci il lavoro di Team Coaching?
La risposta non può essere univoca o diretta, ma dipende dalle situazioni e dalle persone coinvolte. Io utilizzo una delle due alternative:
- Il capo sta con il gruppo per tutto il tempo del Team Coaching. E’ legittimo membro del team in quanto anche lui responsabile dei risultati del team, ed inoltre il carattere del capo e dei collaboratori ed il clima tra di loro permette un buon lavoro insieme.
- All’inizio del percorso faccio lavorare il capo separato dal team e poi li faccio incontrare alla fine della sessione. Lavorano esattamente sugli stessi temi, ma separatamente e poi confrontano i risultati del lavoro di ognuno e si prosegue.
Per questa modalità utilizzo lo strumento de Il Barometro dell’Organizzazione , uno degli strumenti di Four Rooms of Change (Le Quattro Stanze del Cambiamento)
(Lo strumento de Il Barometro dell’Organizzazione è veramente potente in questo: permette di lavorare sia in modo individuale che in gruppo e poi unire i risultati di tutto il team; poi, trasferisce l’attenzione dalla singola persona al team nel suo complesso; e infine, fa focalizzare tutto il team, la sua energia e le attività da svolgere sulle azioni da fare per ottenere i risultati attesi, e non dà spazio a polemiche e discussioni inutili. )
La scelta tra le due alternative dipende dal clima tra le persone, da come è fatto il capo, dalla sua capacità di ascoltare senza prendere tutto sul personale, dalle tensioni che ci sono. Se ne parla prima e poi si decide come procedere. Nei due casi che ho citato, entrambi i capi partecipavano ai lavori insieme al team.
E tu hai mai avuto a che fare con qualcuno a cui resistevi? Quale dei tre comportamenti qui proposti ti è mancato?
E se invece eri tu l’agente del Cambiamento a cui gli altri resistevano, quale dei tre comportamenti avresti potuto fare di più o meglio?
Sarebbe utile sentire la tua esperienza nei commenti.
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